I limiti della potestà legislativa della Regione siciliana in materia Urbanistica
Cass. Sez. III n. 12520 del 20 aprile 2020
La Corte di Cassazione torna a chiarire, con la sentenza in esame, i limiti della potestà legislativa della Regione siciliana in materia Urbanistica.
Sul punto, sovente, la Corte di legittimità è dovuta intervenire per meglio definire i confini di quella potestà legislativa di cui gode la Regione siciliana in forza del proprio Statuto (art. 14, lett. f).
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12520 del 20 aprile 2020 ha potuto, nuovamente, confermare un indirizzo giurisprudenziale consolidato, affermando il principio che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi. Infatti, è bene ricordare che l’urbanistica e l’edilizia sono materie principali che rientrano nel cosiddetto governo del territorio, materia di legislazione concorrente, ovvero di competenza sia statale sia regionale. Dunque, argomento i cui limiti e confni spesso possono essere confusi o fraintesi.
Il principio espresso dalla S.C. trae origine dal ricorso proposto avverso una sentenza di condanna del ricorrente in relazione ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001,per aver realizzato una serie di opere sul lastrico solare (la realizzazione di una copertura in metallo, con pilastri fissati al suolo), di sua esclusiva proprietà, in assenza del prescritto titolo abilitativo, senza avere dato preventivo avviso allo sportello unico previsto dalla normativa di settore e senza essere munito della preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico regionale.
Tra i motivi d’impugnazione il ricorrente eccepiva che la Corte territoriale avesse erroneamente escluso l’applicazione dell’art. 20 della legge della Regione Sicilia n. 4/2003, secondo cui “non sono soggette a concessione e/o autorizzazione (…) le verande e tutte le chiusure (…) relativa a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze ed anche tra fabbricati”; si tratta, duqnue, di una disposizione che, ad avviso del ricorrente, sarebbe applicabile al proprio caso, in quanto espressione della competenza esclusiva in materia urbanistica attribuita alla regione Sicilia.
Se, come detto, l’art. 14 dello Statuto della Regione siciliana dispone una piena autonomia legislativa in materia, essa però non può superare i confini posti dalle norme costituzionali nei rapporti Stato/Regione.
E’ bene ricordare che, in relazione all’attività urbanistico-edilizia, lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla propria potestà di dettare i principi della materia stabilendo una generale compresenza di titoli abilitativi “espressi” e “taciti”. Ma definendo, anche, i principi entro cui tali titoli debbano inserirsi e rilasciati. Ciò in ossequio al principio di legalità, secondo cui spetta allo Stato la scelta di identificare quali condotte possano essere considerate legittimabili o meno, non potendo attribuirsi tal’opzione alla Regione, ovvero fra attrarre o meno una certa attività al regime del permesso di costruire.
Alla luce di tale principio, l’art. 20 della legge della Regione Sicilia n. 4/2003 deve essere interpretato in maniera restrittiva e letterale in modo da non collidere con i principi di cui agli artt. artt. 3, 10 e 31 d.P.R. n. 380 del 2001. In altre parole, la deroga ai titoli abilitativi di cui alla norma regionale è applicabilie solo nei casi previsti dal comma 1 dell’art. 20, cioè in presenza di opere precarie per la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni che non comportino modifiche della sagoma sia in relazione al contorno orizzontale dell’edificio sia in relazione al perimetro verticale (Cass. 33039/2006).
Dunque, la Corte di Cassazione in ottemperanza a tale indirizzo ha statuito nel caso in esame l’infondatezza del motivo di impuganzione del ricorrente posto che il giudice di merito aveva rilevato che la costruzione posta in essere dal ricorrente non aveva il carattere della precarietà e soprattutto comportava un aumento della volumetria del proprio appartamento con evidente modifica della sagoma in relazione al perimetro verticale dello stabile e per tali ragione non rientranti nei casi di cui all’art. 20 l.r 4/2003.
Di seguito la sentenza in commento.
(Sentenza Cass. Sez. III n. 12520 del 20 aprile 2020)
Omissis
RITENUTO IN FATTO
- Con l’impugnata sentenza, in riforma della decisione assolutoria resa dal Tribunale di Agrigento e appellata dal Procuratore generale, la Corte di appello di Palermo condannava A. G. alla pena di un mese e quindici giorni di arresto e 12.500 euro di multa, subordinandone la sospensione dell’esecuzione alla demolizione delle opere abusive, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, 93, 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001, a lui contestati per aver realizzato, nella qualità di proprietario e committente dei lavori, in concorso con ignoti esecutori materiali, una serie di opere sul lastrico solare di sua esclusiva proprietà, puntualmente indicate nel capo di imputazione, in assenza del prescritto titolo abilitativo, senza avere dato preventivo avviso allo sportello unico previsto dalla normativa di settore e senza essere munito della preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico regionale.
- Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per mezzo del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione affidato a
- Il ricorso è inammissibile.
- Il primo motivo è manifestamente infondato.
- Il secondo motivo è manifestamente infondato.
- Il terzo motivo è fattuale e generico, e quindi inammissibile.
- Il quarto motivo è inammissibile.
- Il quinto motivo è manifestamente infondato.
- Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.